Google vuole usare il vero kernel Linux su Android
Google sta cercando di avvicinare Android al ramo principale del kernel Linux. Come sapete Android si basa sul pinguino ma ne usa una versione altamente modificata dai vari OEM quali Qualcomm, MediaTek oltre che, ovviamente, da Google stesso. Il kernel in uso su Android è noto come Android common kernel.
Durante la conferenza Linux Plumbers gli ingegneri di Big G hanno svelato gli sforzi fatti per avvicinare Android al kernel Linux mainline. Questo avvicinamento consentirebbe di ridurre il carico di lavoro per Google, che non dovrebbe più occuparsi di centinaia di modifiche da apportare al rilascio di ogni versione del kernel. Porterebbe anche grossi benefici in termini di sicurezza, soprattutto considerando il crescente numero di device (smartphone e laptop) basati su architettura ARM.
Per mostrare i progressi fatti, Tom Gall, direttore del Linaro Consumer Group, ha portato sul palco uno Xiaomi Pocophone F1 con Android 10, basato appunto sul mainline Linux kernel benedicendo gli sforzi fatti da Google.
Chiaramente c’è ancora molto su cui lavorare, il fatto che la batteria del telefono indicasse uno 0% è un primo indizio del fatto che questo passaggio è lungi dall’essere pronto.
Linux, un’interfaccia per Android?
L’obiettivo degli ingegneri di Google è integrare un’interfaccia nel kernel Linux che permetta ai driver proprietari di essere eseguiti come moduli plug-in, in modo da non dover modificare il kernel stesso. In questo modo i produttori Android potrebbero adottare il ramo principale del kernel Linux, aggiungendo i moduli di cui hanno bisogno a seconda del caso. Diversi sviluppatori di Linux sono però contro a quest’idea di avere un’interfaccia stabile del kernel.
Greg Kroah-Hartman, manutentore del kernel e braccio destro di Torvalds, ha scritto quanto segue in merito:
Lo sviluppo del kernel è continuo e procede rapidamente, non si ferma mai. Gli sviluppatori scovano bug nelle interfacce e, di giorno in giorno, trovano vie migliori per fare le cose […] Questo modus operandi è in netto contrasto con quanto viene fatto nei sistemi operativi closed source che devono mantenere il supporto per le vecchie interfacce nel tempo. Così facendo cresce la probabilità di fare danni e si abbassa la stabilità del sistema operativo. Inoltre, se le interfacce interne non possono essere modificate non è possibile correggere i bug.
Secondo Hartman ciò che è necessario non è un’interfaccia bensì un driver stabile inserito nel main kernel tree.
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