Come la firma elettronica ha salvato l’edilizia e il mercato immobiliare
La locuzione “crisi del mattone” è tristemente nota quanto sinistramente ricorrente in Italia, pur essendo tutt’altro che una prerogativa esclusivamente italiana. Al contrario, le periodiche flessioni del volume d’affari del mercato immobiliare sono un problema trasversale, che coinvolge decine – per non dire centinaia – di paesi in tutto il mondo e ogni tipo di sistema economico. Basti pensare al recente crollo del colosso cinese Evergrande, fino a poco tempo fa considerato un gigante inscalfibile dell’edilizia e del real estate market, non solo in patria: tanto per fare un esempio è – o forse era – marchiato Evergrande il progetto dello stadio da calcio più grande del mondo, un’opera imponente dalla capienza di 100.000 posti, destinata a ospitare le partite casalinghe della squadra di cui lo stesso gruppo industriale è proprietario. Oppure, pensiamo alle vorticose fluttuazioni di un mercato a dir poco particolare come quello degli Stati Uniti, dove persino per i cittadini americani acquistare una casa di proprietà e soprattutto mantenerla diventa spesso un’utopia (per chi non lo sapesse, le tasse sugli immobili in America sono letteralmente “doppie”, giacché i proprietari sono tenuti a pagare sia quelle federali che quelle dello stato in cui si trova l’immobile stesso).
Tuttavia, nel corso di due anni di pandemia quelle che in termini molto generali si presentavano ciclicamente come “scosse di assestamento” di un mercato estremamente instabile e di un settore decisamente ondivago dal punto di vista dei profitti, hanno rischiato di trasformarsi in uno stato perenne di emergenza, che spesso ha ridotto gli operatori del settore sul lastrico, tra mancate commesse e un drastico calo del volume di affari. Ad esempio, in Italia – in attesa del report sul 2021, che dovrebbe restituire segnali di ripresa incoraggianti – il 2020 ha segnato un calo dell’8,2% delle compravendite immobiliari rispetto all’anno precedente, e il dato avrebbe potuto essere ben peggiore se agenzie e proprietari non avessero adottato, in corsa e di comune accordo, alcune misure di contenimento dell’emergenza, analoghe a quelle che hanno investito l’aspetto sanitario della vita comunitaria.
Semplificazioni burocratiche e firma elettronica
Nello specifico, accanto a un immediato snellimento delle procedure burocratiche per lo sblocco di appalti e l’approvazione di contratti, c’è stata l’adozione in massa di nuovi strumenti tecnologici che hanno velocizzato molte transazioni, mentre altre le hanno letteralmente rimesse in piedi da uno stato comatoso. Si pensi all’introduzione della firma digitale come prassi nella stesura di documenti ufficiali: senza questo strumento, gran parte delle transazioni riguardanti il mercato immobiliare sarebbero rimaste bloccate sulla scrivania di società di intermediazione, agenzie, studi legali e notai. Persino la Firma elettronica semplice ha avuto la sua utilità, soprattutto nella trasmissione rapida di documenti interni da una sede all’altra della medesima compagnia.
Di tutto ciò ha tratto beneficio in particolare il mercato internazionale (che nei primi mesi di pandemia è rimasto completamente fermo e poi è riuscito faticosamente a rialzarsi) e soprattutto quello degli immobili di lusso, che rappresenta una larga fetta del real estate market complessivo sia in città e regioni a vocazione turistica (si pensi, in Italia, a Roma, Venezia, Firenze e l’intera Toscana, in anni più recenti Milano), sia in interi stati (negli USA, ad esempio, una spinta propulsiva al mercato interno nella sua globalità lo danno le compravendite da parte di cittadini stranieri di immobili in zone balneari come la Florida, il sud della California o le Hawaii). Stiamo dunque parlando di un tipo di business che ha fatto fatica a rimettersi in piedi ma che ora, seppur incerottato e con una salute ancora precaria, ha sviluppato – e qui l’analogia con il Covid si fa ancora più stringente – gli anticorpi necessari per sopravvivere e, auspicabilmente, tornare a prosperare.
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