Per prima cosa vediamo cosa sono i supercomputer.
All’interno della definizione supercomputer è già chiaramente indicato il fatto che siano sistemi di elaborazione dotati di caratteristiche nettamente superiori a quelle dei PC domestici o dei server aziendali. In realtà, l’idea che si tratti di un’unica macchina deriva più dalla storia di questo tipo di elaboratori piuttosto che dalla loro attuale ed effettiva, realizzazione. In passato, circa fino all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, i supercomputer avevano componenti di qualità molto maggiore rispetto a quella degli altri sistemi commercializzati. Col passare del tempo, però, la massiccia diffusione di hardware con costi ridotti e soprattutto la distribuzione di processori multi core, ha reso questa differenza meno importante. Oggi, i supercomputer sono sostanzialmente degli insiemi, chiamati cluster, di migliaia di CPU coordinate fra loro da un elemento centrale che svolge la funzione di aggregatore e di controllore. In alcuni casi, al posto dei vari processori, sono collegati in cluster singoli computer dotati ciascuno di una potenza di elaborazione pari a quella di un PC quad core. Queste reti di calcolo possono arrivare a includere centinaia di migliaia di elementi e sono gestite tramite una tecnica di elaborazione detta parallelismo. Ogni operazione, infatti, è suddivisa fra più macchine che devono lavorare fra loro “in parallelo” per poter poi fornire il risultato finale.
Il supercomputer attualmente più potente è stato costruito da IBM sulla base di una commessa delle Forze Armate Americane. Il suo nome in codice è Roadrunner, mentre la denominazione ufficiale è BladeCenter QS22 Cluster.
Il fenomenale Roadrunner è in grado di elaborare, nei picchi di funzionamento, fino a 1.456,70 Peta FLOPS: ovvero oltre 1.456 milioni di miliardi di operazioni in virgola mobile al secondo. Fra le principali caratteristiche di questo gioiello tecnologico ce ne sono alcune che lasciano davvero senza parole. La sua superficie complessiva, trattandosi di un cluster, supera il chilometro quadrato mentre il suo costo ha sfondato senza difficoltà la cifra record di 133 milioni di dollari. Non solo: al suo interno sono inseriti 129,600 processori di vario tipo.
In linea di principio, ogni supercomputer può essere equipaggiato con qualsiasi sistema operativo sia in grado di gestirlo. Praticamente, però, esistono dei sistemi operativi maggiormente utilizzati rispetto ad altri. Fino al novembre 2003, secondo i dati forniti da Top500, il sistema operativo Unix era presente sul 57,80 per cento dei primi 500 supercomputer al mondo.
A seguire c’era Linux, con il 36,80 per cento di installazioni mentre Windows e MacOS risultavano equipaggiati su un solo computer ciascuno. Nel 2004, però, il predominio di Unix si è andato a infrangere contro la forza dirompente e la grande configurabilità, dimostrata dai sistemi Linux. Secondo l’ultima rilevazione disponibile il sistema operativo inventato da Linus Thorvalds regna adesso incontrastato con una quota di installazioni pari all’87,80 per cento dell’intero parco macchine. Unix, attualmente, raggiunge il 4,60 per cento del mercato mentre Windows è salito di posizione e con l’1,00 per cento, risulta presente su 5 diversi supercomputer. Analizzando maggiormente la situazione, però, è possibile notare che ben 389 sistemi operativi Linux installati, sui 439 totali, non appartengono ad alcuna delle distribuzioni disponibili per i normali utilizzatori. Si tratta infatti di sistemi realizzati espressamente per il supercomputer sul quale sono stati installati.